La storia
Nel territorio della provincia di Avellino, costituito prevalentemente da rilievi montuosi e collinari, il clima mite e l'abbondanza dei corsi d'acqua alimentano una vegetazione varia e rigogliosa. Il patrimonio boschivo vanta, infatti, numerose specie arboree e il terreno risulta essere particolarmente propenso all'attività agricola. Nell'avellinese si producono vini e oli di altissima qualità. La città di Avellino (circa 53 000 abitanti), situata nella valle del fiume Sabato, e bagnata da alcuni suoi affluenti, si trova all'incrocio d'importanti vie di comunicazione che congiungono l'Adriatico al Tirreno e che collegano il capoluogo sia al territorio beneventano che salernitano. Il nucleo originario della romana Abellinum sorse sulla collina della Civita, dove oggi è situata Atripalda. Testimonianze archeologiche attestano la presenza nell’area di un centro pre-romano, presumibilmente di origine etrusco-campana e di lingua osca, risalente almeno al IV secolo. Secondo ricerche, suffragate da Edward Togo Salmon, l'antica città era al centro del territorio dei Sabatini, popolo sabello documentato da Tito Livio, e fu conquistata nel 293 a.C. dai Romani, che la sottrassero al dominio degli Irpini durante le guerre sannitiche. Sotto il dominio di Roma la città cambiò più volte denominazione (nell'ordine: Veneria, Livia, Augusta, Alexandriana e Abellinatium). Nell'89 a.C. Silla occupò Pompei, Ercolano, Stabia, Eclano, Abella e Abellinum. Abellinum non era ancora un vero e proprio centro urbano e furono le truppe di Silla ad avviare l'edificazione della città. Il Cardo e il Decumano, tipici elementi urbanistici romani, la suddividevano in quattro quadrati, ognuno dei quali conduceva alle quattro porte esterne. La città romana ebbe un importante sviluppo in età augustea, grazie alla costruzione dell’acquedotto che dalle sorgenti di Serino arrivava a Bacoli, ove era situato il grande serbatoio destinato all'approvvigionamento della flotta romana, dopo aver servito le principali città della Campania. Particolare importanza assunse Abellinum in età cristiana, nel corso della quale emerse la figura del grande vescovo Sabino, vissuto probabilmente fra la fine del V e l'inizio del VI secolo. Il centro è documentato fino alla metà del VI secolo dal patrimonio epigrafico rinvenuto negli anni ottanta-novanta nella basilica paleocristiana di Capo La Torre (centro storico dell'odierna Atripalda). Probabilmente con le guerre gotiche, la successiva occupazione bizantina e l'arrivo dei Longobardi, la città fu abbandonata e la popolazione si disperse sulle alture nei dintorni, dando origine a vari piccoli centri, fra cui la nuova Avellino, sulla collina della Terra, 4 km a ovest dalla Civita su uno sperone di tufo. Per secoli "intra civitatem" e "intra moenia" coincisero, visto che la città di Avellino, all'epoca un piccolo borgo, era ricompresa entro il ristretto spazio in cima alla collina tufacea. Ciò perché invasioni, terremoti e pestilenze frenarono notevolmente la crescita demografica. Fino all'849 Avellino appartenne al Principato di Benevento, per diventare poi parte del Principato di Salerno, pur restando legata a Benevento sotto il profilo ecclesiastico, essendo la diocesi di Avellino tuttora suffraganea dell'arcidiocesi di Benevento. L'arrivo dei Normanni pose Avellino al centro di importanti avvenimenti: nel 1137 Innocenzo II e Lotario III nominarono Duca di Puglia Rainulfo di Alife, il conte di Avellino, per il contributo dato per fermare i primi tentativi di conquista del neoeletto (1130) re di Sicilia Ruggero II. Due anni dopo, però, in seguito all'improvvisa morte di Rainulfo, con la città rimasta senza l'appoggio di Papa e Imperatore, Ruggero II riunificò il Regno di Sicilia, annettendovi il Ducato di Puglia e Calabria e il Principato di Capua. Nei decenni successivi, la città passò al conte Riccardo dell'Aquila, dunque ai Parisio, ai Sanseverino, a Simone di Montfort, ai del Balzo, ai Filangieri de Candida. Nel 1512 divenne contessa di Avellino Maria de Cardona, che fece della città uno dei poli culturali più importanti del regno e sfruttando la strategica posizione della città nei collegamenti tra la Puglia e Napoli e tra Benevento e Salerno, riuscì a farne un fiorente crocevia dei commerci. Per far sviluppare l'economia cittadina e i commerci, la contessa, con l'aiuto del marito Francesco d'Este e con il beneplacito di Carlo V, istituì il giorno di mercato franco, ottenne il permesso di realizzare una fiera annuale, costruì due ferriere e avviò un programma di riordino edilizio e amministrativo. Queste riforme prepararono l’avvento della dinastia dei Caracciolo verso la fine del secolo. Il risultato più evidente della guida lungimirante della contessa de Cardona è il boom demografico cui la città andò incontro, che passò dai 1000 abitanti nel 1532 ai 1600 abitanti nel 1561, due anni prima della sua morte. Negli anni dal 1581 al 1806 Avellino divenne feudo dei Caracciolo che ampliarono il Castello, promossero la produzione dei pregiati panni di lana dal tipico colore azzurro carico e ne favorirono il commercio che trovò una sede monumentale nella Dogana dei grani. La peste del 1656 segnò una battuta d'arresto: a metà del Seicento Avellino aveva perso circa tre quarti della sua popolazione, assumendo un aspetto di cupa desolazione. L'epidemia che si diffuse in maniera violenta e repentina anche nell'hinterland avellinese è stata dettagliatamente descritta nella "Historia del Contagio di Avellino" da Michele Giustiniani (1612-1679). Nel Settecento la città cominciò ad assumere l'odierna conformazione urbana: i principi Caracciolo abbandonarono il Castello, si trasferirono in una nuova residenza, il Palazzo Caracciolo, sede dell'amministrazione provinciale, e avviarono i lavori per la creazione del corso principale della città. Con l'abolizione del feudalesimo, nel 1806 il capoluogo di provincia del Principato viene riportato dalla vicina Montefusco ad Avellino. La città fu una delle sedi dei moti del 1820-1821. La diffusione, nel marzo 1820, anche nel Regno di Napoli, della conquista in Spagna del regime costituzionale contribuì notevolmente ad esaltare gli ambienti carbonari e massonici. A Napoli, la cospirazione coinvolse anche alcuni ufficiali superiori, come i fratelli Florestano e Guglielmo Pepe, Michele Morelli, capo della sezione della carboneria di Nola cui si affiancarono Giuseppe Silvati, sottotenente, e Luigi Minichini, prete nolano dalle idee anarcoidi. La notte tra il 1º e il 2 luglio 1820, la notte di San Teobaldo, patrono dei carbonari, Morelli e Silvati diedero il via alla cospirazione disertando con circa 130 uomini e 20 ufficiali. Il giovane ufficiale Michele Morelli, sostenuto dalle proprie truppe, procedeva verso Avellino dove lo attendeva il generale Guglielmo Pepe che lo accolse il 2 luglio, a Monteforte. Il giorno seguente, Morelli, Silvati e Minichini fecero il loro ingresso ad Avellino e proclamarono la costituzione sul modello spagnolo. Dopodiché gli insorti passarono i poteri nelle mani del colonnello De Concilij, capo di stato maggiore del generale Pepe. Questo gesto di sottomissione alla gerarchia militare, provocò il disappunto di Minichini che tornò a Nola per incitare ad una rivolta popolare. Mentre la rivolta si espandeva a Napoli, dove il generale Pepe aveva raccolto molte unità militari, il 6 luglio, il re Ferdinando I si vide costretto a concedere la costituzione. Dopo pochi mesi, le potenze della Santa Alleanza, riunite in congresso a Lubiana, decisero l'intervento armato contro i rivoluzionari che nel Regno delle Due Sicilie avevano proclamato la costituzione. Si cercò di resistere, ma il 7 marzo 1821 i costituzionalisti di Napoli comandati da Guglielmo Pepe, sebbene forti di 40.000 uomini, furono sconfitti a Rieti dalle truppe austriache. Il 14 settembre 1943 intorno alle 10:55 del mattino la città fu pesantemente bombardata dagli Alleati nel tentativo di bloccare la ritirata delle truppe naziste nei pressi dello strategico ponte della Ferriera. Durante l'attacco anglo-americano persero la vita più di 3.000 persone, circa un cittadino avellinese su otto, e furono duramente colpite piazza del Mercato, il palazzo vescovile e alcuni edifici religiosi e abitativi. Il 23 novembre 1980 un sisma di magnitudo 6,9 devastò il territorio della Campania centrale e della Basilicata centro-settentrionale.
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